Specificità linguistico-espressiva della poesia di Marinella Cossu
a cura di Francesca Luzzio

La poesia di Marinella Cossu si caratterizza soprattutto nelle prime raccolte per un procedimento analogico-comparativo, attraverso cui viene metaforizzata l’essenza ispiratrice. Come è stato sottolineato nel volume Poeti italiani scelti di livello Europeo (2012) di fatto è da rilevare “…una componente di rilievo che qualifica il suo stile, ed è l’immediato accostamento della vibrante sensibilità del sentimento con le indicazioni dell’oggetto rappresentato nella sua più o meno evidente realtà…”.
L’ermetica proposizione di emozioni, sentimenti, situazioni trova in genere nella natura e nei suoi elementi lo strumento della sua relativa espressione, quasi a creare un panismo psicologico-emotivo che umanizza la natura, rendendola complice del sentire della poetessa: “Rimaniamo qui / in silenzio / come l’erba buona. // Si è quietato il tempo / … / veglia il noce / … / sorride il cotogno / … “ (In giardino, dalla silloge Bellariva apparsa in “Alcyone 200 – Quaderni di poesia e di studi letterari”, n° 3, 2011). Nella citata lirica, come in altre della stessa raccolta, la poetessa adopera con libertà dispositiva versi brevi, in genere settenari, ottonari o quinari; pochi sono i versi di lunghezza maggiore, poche le rime, spesso create da epifore: “E tutto è a posto / e ogni cosa è a posto / e ogni foglia di viola è a posto / …, poche le assonanze, anche tra versi distanti fra di loro o nei versi conclusivi delle strofe, come nella suddetta poesia dove l’assonanza “o…o” conclude la seconda e la terza quartina: 2… / in un intimo riposo; … / sorride il cotogno”. La musicalità affidata al ritmo dei versi, rende comunque gradevole la lettura, a prescindere dall’oscurità semantica di alcuni di essi che, come afferma opportunamente il celebre poeta e saggista americano Ezra Pound a proposito del suo poema Cantos, “non condizionano l’apprezzamento dell’estasi che ne nasce e che determina il fluire del canto”.
Ad ulteriore esemplificazione di quanto suddetto, particolarmente significativa è la lirica Raccontami l’inverno, che fa parte della raccolta L’anima lo sa del 2006, dove non solo agli elementi della natura, ma anche ad entità astratte vengono attribuite azioni, creando espressioni alquanto esemplificative dello stile della poetessa, così l’azzurro, metonimia di cielo, aleggiava, mentre la fierezza nereggiava e il grano volava. A proposito di tali testi Romano Battaglia ha scritto: “In questo libro, carico di colpi di scena e ben strutturato, c’è una parte che riguarda una realtà che non poteva essere dimenticata… Un profondo attaccamento al luogo in cui la scrittrice è vissuta e dove le acque tranquille dell’Isonzo, dopo aver attraversato la verde vallata e i villaggi sereni adagiati sulle sue sponde, incontrano i venti di terra che si scontrano con quelli turbinosi di mare.”
Il testo di cui sopra è composto da tre quartine caratterizzate dal contrasto ambientale: esterno, interno, esterno, a cui risponde un rimando stagionale: autunno, inverno, primavera. Dall’azzurro aleggiante e dalla fierezza che nereggiava dappertutto / come la terra, ambiente che ci fa pensare ai campi arati, visti in una serena giornata autunnale, si passa nella seconda strofa all’interno di una casa, in una stanza dove vicino al camino qualcuno “Sedeva riscaldando i piedi con le mani / e le gambe / risplendevano di luci biancastre / tracce di madreperla. //” e, alla fine, si ritorna fuori, là dove “Al mattino / volava il grano / grumi di luce / e di tepore”.
Rilevanti sono altresì il paragone della fierezza con il nereggiare dei campi, quasi a sottolinearne l’austerità, l’analogia delle gambe illuminate da fuoco con le tracce di madreperla e infine particolarmente pregno di significazioni simboliche appare quel volare del grano che sembra alludere metaforicamente al suo muoversi al vento e nello stesso tempo sia alla velocità con cui la vista percepisce nel passaggio veloce delle nubi sprazzi (“grumi”) di luce, che emanano dal giallo grano-sole, sia alla gradevole sensazione tattile di tepore che proviene dal tiepido vento. Insomma sottotraccia c’è tutto un sinergico procedimento per sinestesia ed analogia che descrive appieno le caratteristiche estetiche di molta produzione poetica di Marinella Cossu.
Nelle sillogi Celesti geometrie e Il tuo nome (pubblicate rispettivamente nei numeri 4 e 5 di “Alcyone 2000 – Quaderni di poesia e studi letterari”) l’amore celeste o terrestre che sia è l’argomento prevalente e anche in esse stilisticamente si possono rilevare caratteristiche ed aspetti già evidenziate prima. Il lessico è in genere intellegibile: significante e significato si coniugano nella normalità della significazione e comunque la predilezione per l’uso metaforico della parola non impedisce l’immediata comprensione dei versi, che si caricano di quella pregnanza semantica che solo la poesia nella sua sintesi espressiva riesce a creare: … E divengo aquila, mi sciolgo / nel vento e un’aria leggera / avvolge d’incanto i miei sensi…” (Amico ti conosco, dalla silloge Celesti geometrie). Sono versi intensi che trovano nella metafora del verbo sciogliersi la parola- chiave che dà significazione a quel consustanziarsi dell’io con l’ alito amante. Anche in questa poesia prevalgono versi corti con un’epifora che crea una rima baciata: …l’alito amante /… l’antico amante” e qualche assonanza, come quella presente tra l’ultimo verso della seconda terzina e il primo verso della strofa successiva: “capirti vorrebbe come intendi. // Ma rovina nelle cose terrestri…”
La stessa maturità artistica è rilevabile nella silloge Un giorno come mille anni (in “Alcyone 2000 – Quaderni di poesia e studi letterari” n°7, 2014). La lirica In riva al mare consente di rilevare l’evolversi progressivo dello stile della poetessa, che adesso abbandona l’arduo metaforismo analogico-comparativo per tornare a una sorta di “aurea mediocritas” di oraziana memoria, attraverso l’immediata intellegibilità del contenuto che si coniuga all’abituale e musicale versificazione, avvalendosi non solo degli ictus di versi, ma anche di rime (“…amare / …cullare”: rima baciata) ed assonanze (“…onde / … coorte; …giovane / …mare…”). La risacca del mare ha la stessa funzione della madeleine proustiana, infatti risveglia nella mente della poetessa varie figure, tante estati trascorse. E’ un regalo del mare che l’ama e nel suo amore con i ricordi le ridona la gioventù. In particolare nel componimento E’ tempo la religione e la prevalente presenza di Dio diventano esigenza di semplicità linguistica e di armonia creativa, facilmente rilevabili dal lettore, pur non mancando l’abilità costruttiva della versificazione e l’uso scaltrito della parola.
Anche la lirica San Giusto è caratterizzata dal cadenzante ritmo dei versi, da una quasi rima tra l’ultimo verso della prima terzina e il secondo del distico successivo: “… Duomo / …idioma …”, oltreché da qualche assonanza; “…amo sostare / … / rintoccano le campane…”. Notevole è l’effetto fonico-ritmico ottenuto attraverso il ripetersi dei verbi “rintoccano” e “toccano” che non solo creano una rima interna, ma acquisiscono anche un valore fono-espressivo grazie alla carica emotiva che il morfema “toc” in essi contenuto esplica, richiamando l’onomatopeico toc, toc delle campane.
Quanto suddetto è rivolto ad evidenziare, nel persistente carattere esistenziale-evocativo del contenuto, l’evolversi della specificità linguistico-espressiva della poesia di Marinella Cossu.
a cura di Enzo Concardi

Tra le più recenti opere della poetessa veneziana Marinella Cossu spiccano per originalità di impianto simbolico-stilistico e per soggettivismo comunicativo le raccolte poetiche Segreti (2014), Le sirene e gli inverni (2017), Poesie veneziane (2018): tutti e tre i libri si aprono con le prefazioni di Cristiano Mazzanti, mirabili sintesi interpretative dei messaggi dell’autrice, preziose chiavi di lettura per il pubblico e per la critica. La poetica della Cossu poco si presta a classificazioni categoriali, poiché fondamentalmente atematica e atemporale, ovvero rappresenta lo sguardo sul mondo e su sé stessa di un’anima che scruta in profondità il reale esistente, anche quando viaggia in dimensioni apparentemente oniriche. Il merito più appropriato quindi per parlarne è quello di seguire passo passo i suoi testi per capirne la bellezza formale, dovuta non solo alla metrica e alle immagini, ma anche alla sostanza metafisica, ermetica e metaforica del cammino spirituale ed esistenziale espresso sulla pagina. Nel contempo è possibile penetrare e conoscere il suo mondo poetico, costituito da tante suggestioni, emozioni, pensieri, folgorazioni, illuminazioni inusitate, sorprese liriche, che rendono accattivante la lettura, anche se non sempre di immediata assimilazione. L’unica eccezione a tale modo di intendere la poesia mi pare si possa riscontrare laddove la memoria dei luoghi geografici a lei cari prende il sopravvento, pur se ciò modifica solo parzialmente il suo stampo originale.
Ci accostiamo alla raccolta Segreti con uno stralcio della prefazione di Cristiano Mazzanti: “Binario: duale dinamico che scorre lungo il tempo senza tempo della poesia fino a trovarsi nell’infinito con la stazione pneumatica del ‘delirio dell’esistenza’. Questa raccolta offre versi e immagini che abbracciano la visione gestaltica dal finestrino della vita lungo la scansione temporale del nostro vivere. Non a caso la poetessa ha scelto come segnalibro il treno con il suo mistero di binari che scorrono paralleli – abbracciati con traversine prosodiche – e vanno, con ritmo catartico, alla ricerca della stazione ancora orfana di poeti…”.
Il critico fa riferimento, con l’espressione “visione gestaltica”, ad una tendenza della psicologia basata sulla percezione della realtà, confermando così il sostanziale soggettivismo della poetessa. Già dalla prima lirica (Scendi da me), vi è l’immagine del viaggio da percorrere, mediante un “train de vie” che conduce gli individui ad incontrarsi in una prossimità amorevole. Ne seguono altre, convinte assertrici del positivo, della luce, come nei versi: “…Forse solo il fango voi vedete / e non balza ai vostri occhi / il disgelo? // Volgiti a guardare / e mi scorgerai / nell’acqua / azzurrochiara…” (I giorni). Si continua con l’arrivo della buona novella, il crollo della tenebra ad opera dei raggi luminosi, una metafisica immagine dei contrasti tra forze naturali (Imbrunisce. // Il buio e la scintilla / folleggiano / sui lembi degli abissi”, Stai pensando a me), odore di pane fresco vicino ai convogli mattutini, oniriche visioni di treni e vulcani, binari e ferrovie strepitanti. Ma il dubbio giunge puntuale sul senso della storia: quale millennio stiamo vivendo è l’interrogativo, saranno forse Rilke e Pasternak compagni di viaggio… e sul senso della vita: bisogno di ritornare alle radici, alla tenerezza, dopo quasi uno sdoppiamento d’identità tra l’individuo e le sue azioni. Ma ecco entrare in scena l’amore, il desiderio di fare per lei, per lui: “…una rosa, / dei capelli, / un lembo una gonna / come di velo; ardente, / spargi tutto ciò che fu intonato / per lei” (Per lei). Il dialogo intimo continua con immagini insolite: la vita di lui sarà liberata dalla polvere da lei, penetrata nella sua stanza con una scala. Ed entra in scena la dimensione esistenziale,
che oggi appare perdente: “…Chi cerca la verità / non si fermi alla prima stazione. / Senza figli la religione” (Senza figli la religione). Ma esiste un Credo al quale attingere per proseguire nel nostro cammino, per superare il fardello dei mali, per pregare il proprio Dio, per distoglierci da ogni vanità terrestre. Ovviamente non mancano, in Segreti, tocchi di natura sparsi nelle liriche, come in Albeggia, dove la magia delle atmosfere rarefatte, tanto care alla poetessa, è concentrata all’unisono: e sono la spuma della risacca, il brivido dell’usignolo, il giorno che albeggia, la sera vuota, le stelle del firmamento, l’alberatura del buio… Ed infine un cenno a Venezia “più cara / d’ogni cosa al mondo” (A casa), la cui apologia troveremo nella raccolta Poesie veneziane; ed a Trieste, la città cantata da Saba, dove l’immensità si apre ogni mattino.
Il libro Le sirene e gli inverni inizia con un riferimento letterario esplicito al famoso libro di Hemingway: Across the river and into the trees (Al di là del fiume e tra gli alberi, 1950), ambientato nelle lagune venete ben conosciute dalla poetessa Marinella Cossu e le cui immagini invernali ricorrono sia nel libro dello scrittore americano (“Quattro barche risalivano il canale principale verso la grande laguna a nord…Era tutto ghiacciato, gelato di fresco durante il freddo improvviso della notte senza vento”) che nelle liriche della Cossu (“Inaspettata è l’alba / e dolce / come i fiori accesi / dalla pioggia / su un amoroso / albero massiccio, / come una cosa nuova / la lontananza / e il turchino dei cieli / nei primi geli”, Nei primi geli). L’emblematico titolo è interpretato da Cristiano Mazzanti nella prefazione: “Possono le sirene col loro doppio, ittico e femminile con petto allettante, sciogliere i ghiacci dell’inverno nell’incanto di una poesia con metrica di favola e di sogno? Il nuovo viaggio lirico…è una crociera fra cielo e mare attraverso l’occhio dell’anima, oblò che scruta la finestra tuffata nella notte dell’eternità…”. È un libro sul destino personale e collettivo che sfugge al nostro dominio, sul tempo che fugge, sul panta rei del divenire, sulla solitudine e il dolore, sulla metafora delle sirene come simbolo di un’alterità irraggiungibile, e sempre sull’amore, croce e delizia di ogni esistenza: e quello della poetessa ha dolci risvegli, ma pure vuoti e smarrimenti.
Una poesia dell’appartenenza ad una città e d’un innamoramento radicato per essa, ritroviamo nella raccolta Poesie veneziane, dotte e culturali, reali e oniriche, odierne e storiche allo stesso tempo. Il mosaico lirico è composto da bagliori dorati sulle acque lagunari; sogno di velluti, ciprie, tende del teatro che fu; palazzi fiabeschi e mostre di quadri; città che è ‘casa’ e varco per l’anima, perché “Venezia è più cara / di ogni cosa al mondo” (A casa); da materna voce e, come il Doge si sposa con il mare, così la poetessa si sente sposata con Venezia; da un mare che ama e culla, da albe e tramonti…insomma Venezia patria e destino!
Aspetti lirico-naturalistici ed ispirazione amorosa nella poetica di Marinella Cossu, Juan Ramón Jiménez, Alda Merini
a cura di Enzo Concardi

In un precedente saggio1 sulla poetica di Marinella Cossu avevo analizzato in particolare i testi delle raccolte poetiche Segreti (2014), Le sirene e gli inverni (2017), Poesie veneziane (2018), in cui spiccano l’originalità della struttura stilistico-simbolica e il soggettivismo comunicativo, cifre tra le più caratteristiche delle opere dell’autrice, insieme allo sguardo sul mondo e su sé stessa di un’anima che scruta in profondità il reale esistente, anche quando penetra apparentemente in regioni psicologiche legate a dimensioni oniriche. Oltre alla bellezza formale, esiste nella sua lirica uno spessore metafisico, metaforico ed ermetico che poi appare sulla pagina scritta attraverso suggestioni, emozioni, pensieri, folgorazioni, illuminazioni insolite, che conferiscono ai suoi messaggi quella ‘leggerezza dell’essere’ che è nel contempo radicalità ideale e capacità di catturare il volo della poesia e di immedesimarsi in essa.
Già qui scopriamo tocchi di natura sparsi nei versi, come in Albeggia (da Segreti). atmosfere impalpabili identificabili nel giorno che nasce a nuove promesse, nella sera vuota con le alberature del buio, a cui succedono però i concerti delle stelle del firmamento, il canto dell’usignolo, la spuma della risacca. Come Nei primi geli (da Le sirene e gli inverni) in cui le immagini invernali ci restituiscono la natura appartenente alle lagune venete nelle recrudescenze della stagione del freddo: <<Inaspettata è l’alba / e dolce / come i fiori accesi / dalla pioggia / su un amoroso / albe-ro massiccio, / come una cosa nuova / la lontananza / e il turchino dei cieli / nei primi geli>>. Così in Poesie veneziane, oltre all’amore sviscerato per la propria città, anzi proprio per questo, troviamo altri spunti naturalistici: bagliori dorati sulle acque lagunari, un mare da amare e dal quale farsi cullare, albe e tramonti indicibili. E nell’insieme Venezia come sposa: <<Venezia è più cara / di ogni cosa al mondo…>> (A casa).
Risalendo indietro nel tempo, sentimenti estesi relativi alla contemplazione del paesaggio e dei paesaggi, si riscontrano nei testi della raccolta L’anima lo sa (2006), dove Romano Battaglia, nella prefazione, mostra al lettore con la precisione dei dettagli, ciò che rappresenta <<una testimonianza d’amore per la sua terra>>, aggiungendo considerazioni geografiche che diventano illuminanti sui natali dell’autrice: <<…Un profondo attaccamento al luogo in cui la scrittrice è vissuta e dove le acque tranquille dell’Isonzo, dopo aver attraversato la verde vallata e i villaggi sereni adagiati sulle sue sponde, incontrano i venti di terra che si scontrano con quelli di mare…>>. Emblematica a proposito è la lirica Radici della mia anima, dove la poetessa sublima il suo forte sentimento verso le origini: <<…Dove volerei se non fossi / quello che straniera / mi rende a casa mia! // Ma di ritorno dal mondo, / qui, ho ritrovato sempre / le mie radici. //…// Toccherò con le mie mani / radici / della mia anima>>. Inoltre – soprattutto nelle sezioni del libro intitolate Fra terra e mare, Paesaggi dell’anima, Raccontami l’inverno – la visione dell’ambiente naturale è – continua il prefatore – <<…estremamente poetica e pittorica quando si sofferma a descrivere paesaggi suggestivi… un alternarsi di onde… un varcar di spume, e una nave bianca che risplende come un giglio sull’acqua>>. Poi vi sono gli immancabili gabbiani tra azzurro e rocce; i classici castelli di sabbia costruiti da giochi di bimbi; le nubi in balia del vento; la pace vespertina dei tramonti marini; il profumo dei tigli; ortensie, rose e biancospini; misteri, solitudini e silenzi.
L’analisi testuale ci porta alle sei terzine, più un verso di chiusura, della delicata ed evocativa lirica Bucaneve: brevi strofe, estetica levigata, metrica ritmata, fonetica armoniosa. Al centro il più classico dei fiori invernali, simbolo di purezza e speranza: <<Dei bucaneve rimanevano, / d’un tempo antico / il candore fecondo. //…// Dei bucaneve rimanevano / e il manto fecondo, / nostro letto, nostro pane. // E nel candor d’un riflesso eterno / sembrano dire: / noi conoscemmo tutto. / Siamo noi fatti di cielo!>>. Poi siamo visitati da Foglie di viola, un’altra poesia che coglie attimi dell’inverno con memoria d’un vissuto amoroso, fulminea nelle immagini delle tre terzine dove ogni verso va solo da due a quattro parole: <<Foglie di viola, / sotto la neve, / vive e tranquille. // Giace candido / il vergine manto / sotto il pallido sole. // Vivida luce senza calore, / sensuale bacio / senza amplesso>>.
Solarità, trasparenza, sguardo verso l’eterno si ravvisano in altre composizioni, dove forti colori – oro, blu – si fondono nell’abbraccio tra fiume e mare; dove i tempi lunghi dell’estate dilatano le ore sino a farle parere perenni, mentre noi siamo <<… granelli di polvere iridata / che la luce avvolge e seduce>> (Estate); dove i bagliori dell’eterno si posano sul volto della madre e le rose sorprendono con la loro presenza nell’aurora rossastra (Mare di cristallo, Tramonto dolce e piacente).
Sensazioni, suggestioni, emozioni, aspirazioni alla infinitezza che ritroviamo in taluni esiti felici del poeta spagnolo Juan Ramón Jiménez (Moguer, Spagna, 1881 – San Juan, Porto Rico, 1958), intellettuale appartenente alla cosiddetta “generazione del 14” della letteratura iberica. Nelle tre quartine della sua lirica Sera ultima e serena si fondono gli elementi naturalistici con lo slancio ideale metafisico, rappresentato dall’anafora <<io voglio essere eterno!>>2, collocata al termine di ogni strofa: <<Sera ultima e serena, / breve quanto una vita, / fine d’ogni cosa amata; / io voglio essere eterno! // Foglie trafiggendo, / il sole, già di rame, arriva / a ferirmi il cuore. / Io voglio essere eterno! // Bellezza che io ho scorto, / non cancellarti mai più! / Perché tu sei eterna, / io voglio essere eterno!>>. E, sempre tratta dalla raccolta L’anima lo sa, in Marinella Cossu riecheggiano altri versi, comparabili a quelli di Jiménez, esattamente nei Versanti del cuore, in un’atmosfera che qui quasi sfiora il surreale: <<… // E dietro a me / il ponte rosso del sole, / cespugli ardenti / e in alto / il verde del bronzo sulla cupola. // Noi siamo così, / versanti del cuore, / vette, salti, acrobazie. / Noi siamo così, / sembra che non moriremo mai!…>>.
È ora il momento di affrontare l’ultima pubblicazione della poetessa, che porta un titolo che mi pare emblematico e programmatico. Si vive e basta (2021) è una raccolta di poesia amorosa, “leggermente erotica” con talune incursioni nei territori della memoria. In apparenza quel “si vive e basta”, potrebbe richiamare il carpe diem oraziano o il “cogli l’attimo” rinascimentale, sintetizzato nei famosi versi del Magnifico: <<Quant’è bella giovinezza, / che si fugge tuttavia! / Chi vuol essere lieto, sia: / di doman non c’è certezza. / Quest’è Bacco ed Arianna, / belli, e l’un de l’altro ardenti: / per-ché ‘l tempo fugge e inganna, / sempre insieme stan contenti…>> (Canzona di Bacco). In effetti i due amanti del libro (autobiografico) potrebbero assomigliare ad una riedizione moderna dei due personaggi della mitologia greco-latina, ovvero incarnare il piacere dell’amore fisico, vissuto anche eroticamente. Tuttavia nella Cossu questo è vero solo in parte, poiché il messaggio più profondo dell’opera risiede nell’unione, nella compresenza, nella fusione tra i due versanti dell’amore, ovvero quello materiale e quello spirituale, situazione esistenziale piuttosto rara nell’esperienza vissuta degli amori umani.
È ovviamente la scrittura dell’autrice a testimoniare ciò, sia attraverso alcune titolazioni-spia, sia mediante espliciti versi in cui emerge la visione dell’amore – per così dire – integrale. Scorriamo dunque tali titoli: Mistica fusione, Vergine luce, Chiarezze eterne, Euridice/1, Metamorfosi, Per il tuo sguardo, La cena accanto al fuoco, La canzone, Euridice/2… Mentre citiamo direttamente alcuni passaggi tratti da tali poesie: <<Lascia che il mio cuore dorma / all’ombra delle tue ciglia. // La carne del tuo spirito / come l’aurora abbaglia>>; <<Il tempo / fa più profondo il piacere / e a filo di vertigine / mi colma…>>; <<I miei occhi tutto fan più bello, / i miei grandi occhi / dalle chiarezze eterne>>; <<Il mio amore profondo e dolce / come il mare / che spumeggia>>; <<La cena accanto al fuoco, // a un cuore che ama>>… Interessante, prima di procedere con l’analisi critica, ascoltare anche l’angolatura interpretativa di Cristiano Mazzanti, nella prefazione alla raccolta: <<Il titolo guizza dalla copertina come mercurio liberato dal termometro in cerca dell’argento vivo della vita… Queste composizioni, dal metro in sintonia con le maree dell’anima… sono la vittoria dell’eros sul suo antagonista tradizionale – thanatos – e le rime, come uscite dall’acquatica magia di una conchiglia che salpa per i sette mari, approdano a un panpsichismo totale che schiude petali vivi a una rosa universale con valve di abbraccio assoluto che strizza il succo dell’esistenza…>>.
Dunque “si vive e basta”, non bisogna pensare al domani, ma all’oggi, anzi a ieri, ad eventi tra-scorsi poiché la poesia amorosa di questa raccolta ha quasi tutti i verbi al passato, si tratta di ricordi ancora vivi ma pur sempre di memorie. Tuttavia, anche qui occorre precisare che la visione della poetessa non è per nulla minimalista come sembrerebbe, ma attinge a fonti ideali, culturali e spirituali di spessore. Ne è prova la delicatezza e sensibilità del suo erotismo, che potrei chiamare quasi pudico, se possibile, tanto è lirico e immaginifico. >>.
Ne è prova il riferimento a figure della mitologia (Euridice), il linguaggio forbito e un lavoro sulla parola che non possono che derivare da una frequentazione di testi poetici di livello europeo e che svelano un background importante. Ne sono un esempio questi versi di Sopra un erotik: <<… accarezzerò la curva dei seni / che salgono nell’azzurro / come pupille d’opale iridescenza. //…// il nostro finito / nell’infinito / degli occhi tuoi / profondi>>.
Proseguendo la ricerca dei passaggi migliori delle sue liriche, incontriamo un passato che risorge nel presente, cantando così il ricordo di un giovanile amore; l’accorato appello a non dimenticare le parole scambiate, che restano, che non possono cadere nell’oblio; l’insistenza sulla memoria dell’amore e dell’amato che non sono per nulla svaniti. Tornano vivi gli attimi del piacere: <<…Al tuo desiderio mai sorda / mi dissetai d’odore, / di suono e colore…>> (Come una nave); <<Il suo ventre / pendente / alla mia vigna /…/ portava a perdizione // la mia bocca umida e libertina…>> (Metamorfosi). <<… Atrocemente presa dal piacere / accolsi in quell’istante / il mio cuore…>> (La cena accanto al fuoco). S’impongono qui due importanti considerazioni per non sviare il lettore verso interpretazioni errate: per la poetessa l’amore è essenzialmente un donare senza usare il misurino del farmacista, cioè dare tutta sé stessa senza calcoli razionali, realizzando così quella riconciliazione tra eros e pneuma sempre auspicata ma meta di arduo raggiungimento, per via di fattori culturali, morali ed anche educativi.
È la stessa concezione che emerge dalla poesia amorosa di Alda Merini (Milano, 1931 – ivi, 2009), la poetessa milanese dei “Navigli”, della quale stralciamo versi significativi ed emblematici dalla lirica E poi fate l’amore: <<E poi fate l’amore. / Niente sesso, solo amore. /…/ Intendo abbracci talmente stretti / da diventare una cosa sola, / corpi incastrati e anime in collisione, / carezze sui graffi, /…/ sui segni di una vita / che fino a quel momento / era stata un po’ sbiadita. /…/ Intendo creare costellazioni / inalare profumi, / cuori che battono insieme, / respiri che viaggiano / allo stesso ritmo. / E poi sorrisi, / sinceri dopo un po’ / che non lo erano più. / Ecco, / fate l’amore e non vergognatevi, / perché l’amore è arte, e voi i capolavori>>3.
Così la nostra poetessa, oltre a quanto già visto, ribadisce tale visione in altri testi, come Nero e rosa e La canzone. Nella prima creazione prevalgono gli elementi dell’erotismo, ma come beatitudine, non come trasgressione: <<Fra il nero e il rosa, / dove tutto è fertile / e profondo // oscilla il tuo desiderio. // Dolce nei tuoi pensieri, / ami il mio corpo di velluto / per ottenere la rosa…>>. Nella seconda partitura entriamo maggiormente nelle regioni di un sentimento che reclama durevolezza: <<…Il canto / vuol esser luce, / la luce / tempo e verità. / I miei lunghi sguardi / riempiono / l’istante immenso, / archi azzurri / per le mie fresche mani. /…/ La canzone / piena di labbra, / piena di ore, / nata sopra un eterno giorno / mi cambia il cuore. //…/ Nascono rose / dalla mia voce libera /…/ per dire la mia verità di donna: / amore, amore visibile>>.
Non sarebbe completa l’analisi di Si vive e basta se non ricordassimo almeno due poesie in cui la memoria sopravanza l’ispirazione amorosa per andare alla famosa e proustiana ricerca del tempo perduto. Romanza ci parla di risacche di memorie che sommergono il cuore della poetessa: assomigliano a vele che si confondono sull’orizzonte marino, ma un certo ermetismo non ci consente di capire di più. Scaglie di mare ci trasporta nelle sue estati ormai lontane, dove troviamo il desiderio di vivere un domani fuori dal tempo, e un’atmosfera rarefatta in cui l’unica tangibilità sembra essere <<… l’eco della tua voce>>. Svolta criptica anche in Dimora del tempo, tutta da interpretare nelle sue bivalenze esistenziali e lessicali, nelle sue evocazioni, nei suoi quasi ossimori rilanciati tra le strofe, anch’essi sfumati e volutamente lasciati nell’etere dei non luoghi. Con spunti di surrealismo (<<veggente blu>>, <<vivaio delle comete>> …) chiudiamo questo saggio che ha voluto letterariamente ricongiungere ciò che rappresentano Fiammetta e Laura nell’amore d’ogni epoca.
1 ENZO CONCARDI, Specificità linguistico-espressiva e sguardo soggettivo dell’anima nella poesia di Marinella Cossu, in Storia della Letteratura Italiana, vol. IV, Guido Miano Editore, Milano 2020.
2 JUAN RAMÓN JIMÉNEZ, Sera ultima e serena, in Poesia spagnola del 900, a cura di Oreste Macrì, Guanda, Parma 1961, traduzione di Oreste Macrì.
3 ALDA MERINI, E poi fate l’amore, dal sito: Eroica Feni-ce (eroicafenice.com).